La Toscana olivicola ha molti problemi, con il 27% della sua olivicoltura in stato di abbandono, ma ha mostrato nell’ultimo ventennio la capacità di creare un sistema che genera valore. Apparentemente è un controsenso, come lo è il fatto che i prezzi salgono e la produzione scende.
Sono i paradossi dell’Italia olivicola d’oggi giorno con problemi mai risolti (parcellizzazione aziendale ed età media elevata degli olivicoltori) e nuove prospettive (attenzione alla qualità e a un vero Made in Italy sui mercati mondiali). Suona effettivamente quasi come una beffa il richiamo del Presidente dell’IGP Toscano Fabrizio Filippi durante l’annuale assemblea: “la richiesta di IGP Toscano certificato c’è, manca il prodotto.”
Analogo concetto è stato espresso dal Presidente dell’Interprofessione, FOOI: “l’anno scorso, realmente disponibili per il mercato, non ci sono state più di 80 mila tonnellate di olio italiano.”
Come è possibile essere giunti fino a questo punto? “Un miscuglio di interessi personali o particolari, gestioni approssimative e clamorosi errori non ha mai realmente permesso il decollo del sistema delle Dop – ha affermato Gennaro Sicolo, Presidente del CNO – ma esempi come l’IGP Toscano dimostrano che il sistema può funzionare.”
In vent’anni di IGP Toscano il numero di associati è rimasto pressoché stabile ma la produzione certificata è andata scendendo. “Vi è un problema di produttività – ha affermato Riccardo Gucci dell’Università di Pisa – ci siamo concentrati sulla riduzione dei costi ma il vero problema oggi è la produttività. Un oliveto intensivo, in irriguo e costruito secondo schemi moderni, ha una produttività che può essere 5-6 volte tanto quella di un vecchio impianto. Salvaguardiamo gli oliveti storici e quelli che proteggono dal dissesto idrogeologico ma la sfida è fare nuovi impianti, con varietà italiane. L’innalzamento della produttività ed ettaro porta già di per sé un abbassamento dei costi colturali.”
L’altra possibilità è il superintensivo spagnolo, con Arbequina, Arbosana e Koroneiki. Un modello spinto in Toscana da grande ditte di imbottigliamento. “Seguire modelli altrui sarebbe sbagliato, la soluzione ce l’abbiamo a portata di mano: creare modelli con le nostre cultivar, adatti all’Italia – ha affermato Maurizio Servili dell’Università di Perugia – non si può pensare di importare il modello di superintensivo spagnolo senza ricreare lo stesso modello di filiera, dalla logistica, ai frantoi, agli impianti di stoccaggio. La nostra rete di frantoi non potrebbe supportare carichi di lavoro raddoppiati e triplicati. Abbiamo volutamente studiato e orientato i nostri frantoi sulla modularità in ragione della diversificazione e della qualità. Tornare indietro, ammesso che si voglia fare, avrebbe costi enormi.”
La sfida dell’olivicoltura italiana passa quindi da nuovi impianti, realizzati da giovani imprenditori, come Andrea, classe 1997, nato insieme al Consorzio IGP Toscano e oggi olivicoltore.
Insieme con gli impianti, insomma, occorre anche un cambio generazionale che permetta di dare nuova linfa al settore, producendo per il mercato e non per l’autoconsumo o poco più.
L’Italia sembra ormai aver scommesso sulle IGP per il rinascimento olivicolo nazionale. Siamo però l’Italia dei Comuni e un cappello regionale può risultare eccessivamente stretto, mortificando realtà territoriali dalla lunga storia e tradizione. Anche in questo caso il Consorzio IGP Toscano tira la volata, e grazie a un disciplinare lungimirante, avvia un percorso di valorizzazione delle eccellenze locali.
Presentato infatti l’olio IGP Toscano di Volterra. A seguito di accordo tra una realtà territoriale, come un Comune, e il Consorzio, infatti, l’olio interamente prodotto, franto e imbottigliato in quel luogo potrà usufruire di una indicazione geografica aggiuntiva. E’ il caso dell’extra vergine di Volterra che potrà promuoversi per il mondo grazie al nome Toscano, salvaguardando però le proprie radici, affiancando orgogliosamente il proprio nome e un logo, nel caso specifico l’urna degli sposi.
“Dopo l’olio IGP Toscano di Volterra – ha dichiarato Fabrizio Filippi – stiamo aprendo percorsi virtuosi perché anche l’Isola d’Elba e Montalcino possano utilizzare il proprio toponimo accanto al Toscano. In luoghi turistici e fortemente evocativi, la commercializzazione in loco può certamente beneficiare di questo ulteriore tassello di valorizzazione, di fatto una mini-Dop. L’olio extra vergine IGP Toscano di Volterra deve diventare come un gioiello, da regalare e da regalarsi, una serie limitata e, quindi, preziosa.”
Forze fresche, oliveti nuovi, nomi forti all’estero (es. Toscano) accanto a identità territoriali (es. Volterra).
La strada per l’Italia olivicola che voglia ritagliarsi una fetta del mercato mondiale dell’extra vergine di eccellenza, senza paura di competizione sul prezzo e di Paesi emergenti, passa da un utilizzo saggio dei lasciti del passato, con una chiave moderna e innovativa.
Alberto Grimelli
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