Dopo le cultivar iberiche e greche, passiamo ad analizzare un altro olio, derivante da oliveti mediterranei. Sono ancora in pochi a conoscere gli oli d’oliva di Tunisia, dove un terzo della superficie destinata all’agricoltura, è ricoperto da ulivi e la produzione olivicola rappresenta circa il 15%, arrivando a rappresentare il 50% dell’export dei prodotti della terra.
Nel territorio berbero sono presenti due tipologie di cultivar:
“Chemlali , prima cultivar per estensione proveniente dal centro e dal sud della regione, che esalta la dolcezza dell’olio, poco amaro, che non pizzica al palato e rappresenta il 70% della produzione nazionale; segue la varietà “Chetoui”, che copre invece, il 10% delle zone settentrionali del paese, e dà origine ad un olio caratterizzato da un fruttato intenso, con toni amari. Spesso vengono impiegate insieme per realizzare oli di grande equilibrio.
L’extravergine tunisino è un olio del primo frutto ancora acerbo, dall’odore molto fruttato e speziato ma anche un sapore amaro. L’acidità libera inferiore allo 0,5%, esprime un livello qualitativo altissimo, che pone gli olii d’oliva tunisini tra i migliori al mondo.
Attualmente, con 1,82 milioni di ettari, la Tunisia si conferma il secondo Paese a livello mondiale per superficie olivicola totale, coperta da circa 82 milioni di ulivi.
La produzione media, si aggira negli ultimi anni, sulle 185mila tonnellate annue, che posizionano il Paese al quarto posto tra i produttori, dietro Spagna, Italia e Grecia, ma con una campagna olearia che nel 2014-15 ha raggiunto il record di 340mila tonnellate.
Un patrimonio varietale ricco e complesso, grazie anche alle differenze climatiche. Tra le varietà minori, distribuite dalle regioni del nord del paese, più umide, fino a quelle del sud, più aride e desertiche. Parliamo della Sayali, prodotta al nord, dai toni piuttosto amari, utilizzata anche per tagliare la Chetoui; mentre la Oueslati, produce un olio particolarmente profumato. Nell’area desertica, troviamo invece due varietà rustiche: la Zalmati e la Zarrazi. Quest’ultima si esprime in un olio dolce e molto apprezzato. Al sud, ancora, la coltivazione della Chamchali, che dà un olio molto fruttato, così come esibisce intensi profumi quello ricavato dalla Jarboui, della zona settentrionale.
Quanto all’export, nello scenario mondiale, gli oli di origine tunisina, coprono il 20% di quelli esportati, e, in quanto alla tipologia, sono per il 73% extravergini. Della produzione complessiva, circa 155mila tonnellate annue, di cui 20mila confezionate, sono destinate in particolare, al mercato italiano (38%), spagnolo (23%) e quantità sempre più significative viaggiano verso gli USA.
C’è da precisare che l’oro liquido berbero è anche sempre più biologico. La Tunisia è il primo Paese in Africa ad avere una legge specifica per l’agricoltura biologica (L. 99/30) che la Commissione Europea ha riconosciuto equivalente a quella dell’Ue. Basti pensare che l’80% del settore bio, è costituito proprio dall’olio di oliva, ma va anche sottolineato che l’intera olivicoltura viene condotta con un uso minimo di chimica. Le aziende non certificate bio, non ricorrono a trattamenti particolari né a fertilizzanti azotati, considerato anche il clima e l’impiego di varietà che ben si adattano alle condizioni pedoclimatiche del paese. La crescita dei quantitativi di olio bio tunisino esportato, è stata costante, fino ad arrivare alle 35mila tonnellate del 2015. I principali mercati per l’olio bio si confermano la Francia, l’Italia e gli Stati Uniti.
Gli agricoltori sono incentivati dal Governo, anche se al momento, la maggior parte della produzione esportata è sfusa, il prossimo passo sarà proprio l’incremento dell’export di olio bio imbottigliato, in modo da accrescerne anche il valore. A conferire un’impronta moderna all’attività produttiva iniziata già nel 1988, è il Gruppo Bichiou, guidato da Fethi Bichiou e dai suoi figli, che con il brand “Tanit Mediterraneum”, sta firmando prodotti che stanno conquistando non pochi mercati europei.
M.M.
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