Dop, denominazione di origine protetta. Una certificazione che racconta un intero territorio, con un disciplinare ferreo che ogni produttore deve rispettare se vuole imprimere il marchio alla sua etichetta. In olivicoltura, sono diversi i professionisti che hanno scelto di adeguarsi alle norme dei vari disciplinari e, fra questi, nella guida Oli d’Italia 2017 del Gambero Rosso, sono le bottiglie di Paolo Bonomelli Boutique Olive Farm di Torri del Benaco (Verona) e Trappeto di Caprafico di Casoli, in provincia di Chieti, ad aggiudicarsi il premio ex aequo di Miglior Olio Dop. Quest’ultima è una delle più rappresentative aziende di tutto l’Abruzzo e, insieme al proprietario, ne abbiamo voluto ripercorrere l’evoluzione.
Le origini
Tommaso Masciantonio è cresciuto fra gli uliveti di famiglia, apprendendo dai suoi genitori e dai nonni le tecniche per realizzare un buon prodotto, ma è grazie a uno studio sempre più approfondito e una ricerca intensa, basata su sperimentazioni in campo e in frantoio, che l’attuale proprietario dell’azienda è riuscito a ottenere i risultati eccellenti degli ultimi anni. “L’azienda nasce nel 1874, anno di impianto degli ulivi, e crea il primo frantoio proprio nel 1948. Io sono diventato titolare nel 2009, ma l’olio è sempre stato un elemento fondamentale della mia vita. Per questo ho voluto dedicare tutte le cure possibili agli alberi”.
La produzione e il terreno
Due varietà principali, gentile di Chieti e intosso, “più qualche cultivar minore per l’impollinazione”. Tre etichette: un monocultivar di intosso, il Dop Colline Teatine (90% gentile di Chieti e 10% intosso) più un altro blend, “con olive leggermente più avanti di maturazione”. Cinquemila alberi propri più altri mille in affitto distribuiti su circa 18 ettari di terreno: le tenute dell’azienda si trovano a 500 metri di altitudine, ai piedi della Maiella,e si sviluppano su un terreno prettamente calcareo.
Il biologico, i trattamenti e il ruolo della natura
È l’intosso la varietà che viene raccolta per prima, durante la prima decade di ottobre, seguita in corsa dalla gentile di Chieti, per un periodo di raccolta (meccanizzata) che dura tutto il mese di ottobre, “alle volte anche fino ai primi di novembre”. Una coltivazione interamente a regime biologico, che prevede l’utilizzo di rame e pochi altri elementi per combattere la mosca.
Ma l’olivicoltore si affida soprattutto alla natura: “Non ci sono molti problemi parassitari qui in zona per via del freddo invernale, dell’assenza di umidità e della neve”. Quest’ultima in particolare contribuisce in maniera notevole alla lotta alla mosca ma, se presente per un tempo troppo prolungato, può portare anche degli svantaggi: “Se le temperature sono sotto i -10°C, la neve diventa un elemento pericoloso. L’ulivo si sovraccarica di neve e questa può spezzare branche e rami”. Che possono essere recuperati, ma a fatica. “Una volta che una branca si rompe, bisogna attendere anni prima di poterla ricostituire del tutto”. E la famiglia Masciantonio lo sa bene: “Nel ’56 c’è stato un abbassamento termico di gran lunga al di sotto dei 10 gradi sotto zero. Parti importanti delle chiome erano gelate, gli alberi si sono scortecciati e la produzione si è praticamente azzerata”. Per recuperare le piante, i produttori hanno dovuto fare leva sui polloni (rami che sviluppano sul tronco e ai piedi dell’albero): “L’ulivo non muore totalmente, neanche in questi casi gravi. L’apparato radicale sopravvive e nella parte basale si creano questi nuovi germogli da cui si può ripartire”. Ma per rendere un uliveto nuovamente produttivo al 100% la famiglia ha dovuto attendere più di 15 anni. “Purtroppo non tutto in natura è sotto il nostro controllo. Ma lavorando sodo possiamo evitare o arginare eventuali danni”.
L’annata scorsa e quella che verrà
Oltre alla neve e il freddo, per combattere la mosca Tommaso utilizza trappole ai ferormoni e rame, e soprattutto, gioca di anticipo: “Quando scegli di fare un prodotto biologico non puoi permetterti di aspettare. Il monitoraggio in campo deve essere costante e la raccolta anticipata”. L’ultima campagna olearia, quella del 2016, non è stata buona, “per via della pioggia durante il periodo di fioritura che ha appesantito il polline che, muovendosi per via anemofila (con il vento), ha faticato a spostarsi da un fiore all’altro”. Un problema che è costato all’azienda il 35% in meno di produzione.
La prossima annata, invece, sembra promettere bene: “Stanno cominciando a comparire i primi fiori, un po’ in ritardo rispetto alle altre regioni. Le temperature sono giuste ma finché non nascono i frutti non si può dire l’ultima parola”. Ora, dobbiamo solo auspicare che l’estate non sia troppo piovosa, “e che le temperature si mantengano costanti. Di questo passo, altrimenti, non riusciremo più a sostenere questi ritmi”. Ma un bravo olivicoltore può gestirli: “Non abbiamo scuse, non possiamo farci trovare impreparati. Mosca o non mosca, pioggia o neve. Le piante vanno monitorate in maniera maniacale”.
Frantoio: i fattori che determinano la qualità
Non è semplice stabilire delle regole fisse per ottenere un buon olio, e diventa ancora più difficile nel caso di un’azienda come questa che, anno dopo anno, sperimenta e si impegna per avere un prodotto sempre migliore, con sfumature diverse, costante nella qualità ma diversificato per aromi, intensità, profumi, persistenza. E lo fa grazie a un macchinario costruito su misura da una realtà artigianale abruzzese, un impianto a ciclo continuo con diversi frangitori, che offre la possibilità di lavorare a due fasi e mezzo e di invertire e cambiare i numeri dei giri della frangitura. Questo per quanto riguarda tutte le fasi di lavorazione dal lavaggio delle olive alla gramolazione, mentre dal passaggio in centrifuga in poi le macchine sono targate Alfa Laval.
Nessun dogma, quindi, ma qualche linea guida sì: “Nelle annate dove il frutto è meno ricco di sostanze fenoliche, optiamo per una frangitura più aggressiva, mentre se il frutto è più piccolo e verde, andiamo a rompere meno la drupa”. In gramola, la pasta rimane per un massimo di 30 minuti a circa 22°C: “Un grado di differenza non cambia la qualità. Bisogna stare attenti a rimanere al di sotto dei canonici 27°C, ma i fattori determinanti sono altri”. A cominciare dal lavaggio, che deve essere fatto in maniera scrupolosa, per passare poi alla frangitura, “ma dobbiamo ricordarci di non sottovalutare alcun passaggio”. Come sempre, è l’esperienza a suggerire le soluzioni migliori: “Bisogna valutare caso per caso. E soprattutto, occorre sempre assaggiare prima di valutare e capire come, cosa e quanto andare a modificare”. Una volta ottenuto l’olio, questo viene filtrato immediatamente, “così evitiamo qualsiasi rischio (davvero minimo) di ossidazione”. Il prodotto filtrato resta poi in stoccaggio in contenitori di acciaio a una temperatura costante di 16/17°C, sia in estate che in inverno.
La Dop
Registrata per la prima volta nel ’98, la denominazione Dop Colline Teatine si rivolge a tutti i produttori della provincia di Chieti e consente l’impiego di 5 diverse varietà di olive. Fra i primi ad aver certificato l’olio con il marchio c’è stato Tommaso, insieme a pochi altri olivicoltori del luogo. Una scelta dettata dall’amore e il rispetto per il territorio e soprattutto la voglia di promuoverlo sempre di più, unita al sogno di vederlo crescere: “Perché ho voluto certificarlo? Se non siamo noi produttori in primis a crederci, chi altro dovrebbe farlo?”. Il disciplinare è attualmente in fase di modifica, “ci siamo battuti per far inserire anche la possibilità di certificare con la Dop gli oli monovarietali. Ora siamo in attesa della conferma, che speriamo arrivi presto”.
L’olivicoltura abruzzese
Certificazioni a parte, la consapevolezza dei produttori abruzzesi è notevolmente aumentata negli ultimi 10 anni: “Stiamo riscoprendo le nostre varietà autoctone. Per tanto tempo il settore olivicolo è rimasto fermo per colpa nostra, perché siamo stati noi produttori a non riconoscerne il potenziale”. Una terra ricca di risorse, quella abruzzese, che ora è pronta a rinascere: “Il prossimo passo è raggiungere uno standard qualitativo medio ancora più alto. Tanti piccoli produttori stanno cominciando a migliorare, stiamo sulla strada giusta”. Ma bisogna continuare a parlarne, a comunicarlo al meglio, “operatori del settore in primis, dagli agronomi ai tecnici di frantoio”, e soprattutto fare rete, unendo le competenze di ognuno e lavorando in maniera sinergica per rappresentare al meglio la propria regione, “il confronto fra colleghi è fondamentale”.
La vendita
E in questo modo, l’olio abruzzese di qualità può approdare anche all’estero. I prodotti di Masciantonio sono infatti presenti in quasi tutti i paesi europei, “in particolare in Svizzera e Inghilterra”, ma anche negli Stati Uniti, in Canada, Brasilee Giappone, “nostro mercato di riferimento”. Nel Belpaese sono le oleoteche, i negozi specializzati, le gastronomie e le enoteche più curate a vendere le etichette di Trappeto di Caprafico, principalmente al Centro e Nord Italia. Piccoli e significativi passi in avanti anche nel mondo della ristorazione: “Siamo presenti in diversi ristoranti abruzzesi, qualcuno anche in altre regioni e uno in Francia”. E non uno qualunque: è il pluripremiato chef Michel Bras ad aver scelto l’olio Dop Colline Teatine per i suoi piatti, “questo ci riempie di orgoglio, ma c’è una piccola pecca”. Lo chef, infatti, serve i piatti già conditi senza portare la bottiglia al tavolo, “ma piano piano spero di riuscire a fargli cambiare idea”, aggiunge Tommaso divertito.
Gli altri prodotti: le olive, i patè, l’infuso di foglie di ulivo
Masciantonio realizza anche condimenti a base di olio extravergine di oliva e agrumi – arance, limoni, cedri – con frutti dalla Sicilia, che vengono lavorati in frantoio fino a essere ridotti in crema e poi aggiunti alla pasta di olive: “Potrebbero essere moliti insieme, ma per ora preferiamo continuare così per garantire massima qualità in entrambi gli ingredienti e ottenere un prodotto equilibrato”. Ci sono poi anche le olive verdi in salamoia, il patè verde e quello nero. Ma la specialità dell’azienda (extravergine a parte) è la tisana a base di foglie di ulivo, una delle ultime creazioni e sicuramente fra le più originali: “L’idea è nata per caso, osservando una mia vicina di casa inglese che era solita preparare un infuso con le foglie di ulivo. Mi sono detto ‘perché non provarci?’”. Il risultato è un prodotto ricco di antiossidanti e soprattutto anti-spreco, che aiuta a recuperare parte delle foglie della potatura che altrimenti rimarrebbero inutilizzate. “naturalmente facciamo una cernita”. Le foglie vengono dapprima essiccate e poi tritate, “inizialmente a mano, ora abbiamo inserito un macchinario”, e la resa è molto bassa, “con 100 kg di foglie otteniamo quasi 10 kg di prodotto”.
La nuova bottiglia, lo studio sulla maturazione, il progetto del vino
Un’azienda di questo calibro non si ferma mai: “La ricerca per migliorarsi è costante, a cominciare dalle confezioni. Stiamo mettendo a punto una nuova bottiglia dedicata al monocultivar di intosso, per differenziarla dai due blend”. Ma si continua anche a studiare le nuove tecniche estrattive, “questo è un momento cruciale per l’evoluzione dell’olivicoltura italiana perché stanno iniziando a diffondersi nuove teorie e macchinari e ne sono irrimediabilmente attratto”. Particolare attenzione al grado di maturazione delle olive, “voglio capire quanto può incidere a livello organolettico il punto di maturazione e quanto è sottile la differenza fra i diversi stadi di invaiatura”.
Ma nel futuro dell’azienda c’è anche il vino: “Ho iniziato a dedicarmi al vino da due anni e devo ammettere che è un prodotto che mi sta coinvolgendo parecchio, come tutti i nuovi progetti”. Uve di montepulciano, pecorino, passerina e cococciola, “vitigno autoctono abruzzese”, vinificate sia con metodo convenzionale sia seguendo i dettami della filosofia del vino naturale: “Bisogna sperimentare per capire quale strada percorrere, per cui devo provare tutti i metodi”. Un progetto ambizioso, quello del vino, che va intensificare ancora di più il duro lavoro di Tommaso, che in ogni gesto agricolo riversa tutto il suo amore per la campagna. Ma come per tutti i produttori più appassionati, “il cuore appartiene all’olio”.
Michela Becchi
Commenta per primo