Olio/l’inchiesta. Italia: crolla la produzione e scendono i consumi

Il Coi, il Consiglio olivicolo internazionale, è l’organismo che monitora la situazione dell’olio a livello mondiale. Produzioni, consumi, tendenze, aree di crisi e di sviluppo, tutti dati che passano dalle scrivanie della sede di Madrid. Ender Gunduz, spagnolo di origini turche, con la moglie italiana, è il capo dell’unità di promozione.

Ennevi

 

A Verona ha presentato una situazione mondiale complicata con una produzione che varia di anno in anno: 2,4 milioni di tonnellate nel 2014, 3,1 milioni nel 2015, 2,7 milioni nell’ultima campagna. La Spagna guida con distacco i paesi produttori con 1,3 milioni di tonnellate, poi c’è la Grecia con 260 mila che ha strappato il secondo posto a un’Italia in piena crisi (243 mila). Paesi emergenti: la Turchia (177 mila), il Marocco (110.000), la Tunisia (100.000). L’Italia dal 2012 alterna annate buone e altre pessime: 415 mila, 463 mila, 222 mila, 474 mila e adesso 243 mila.

 

– Gunduz a cosa è dovuta una produzione mondiale così instabile?
“Per i nostri esperti ci sono tre fattori preoccupanti. Il primo è il cambio climatico: avanza l’aridità, non piove o piove nel momento sbagliato. Il secondo è l’anticipo della fioritura. Il terzo le malattie, come la xylella in Italia”.

– Questi sbalzi di produzione stanno portando problemi sul mercato?
“Beh, il prezzo dell’olio si è mantenuto alto, per le quantità invece non ci sono problemi. Il consumo mondiale è più o meno sempre uguale: quando la produzione è stata più bassa, lo stock invenduto dell’anno prima ha compensato il calo”.

– Ma se ci sono paesi come gli Stati Uniti, la Cina e il Brasile, dove aumenta la domanda di olio, come fanno i consumi a rimanere uguali?
“Perché scendono nei paesi di tradizione come l’Italia, la Grecia, la Spagna. Non abbiamo ben chiaro i motivi, o quanto meno facciamo delle ipotesi. Potrebbe centrare la crisi perché ad ogni aumento corrisponde un calo dei consumi. Forse ci sono differenze nel modo di cucinare: una volta si friggeva con l’olio d’oliva adesso più con l’olio di semi. Inoltre è vero che la Cina è enorme ma le persone che consumano olio d’oliva sono pochissime. Si tratta di un consumo prevalentemente urbano, in ambienti che guardano molto all’Occidente con consumatori attenti ai motivi salutistici. Infatti è proprio il fatto che l’olio fa bene a spingere il consumo in Cina”.

– E gli Stati Uniti?
“Si tratta di un mercato dalle grandi potenzialità ma, come da noi, è molto sensibile al prezzo. Quando questo sale, il consumo immediatamente scende”.

– La produzione rimane uguale o ci sono paesi che investono e in futuro cresceranno?
“Il Marocco e la Turchia hanno investito moltissimo. In totale parliamo di una superficie coltivata nel mondo che è aumentata del 10% in 8 anni. E’ interessante il caso della Cina che per politica governativa sta piantando 290 mila ettari di uliveti. In realtà il clima non è adatto: piove troppo e l’ulivo non riesce ad adattarsi, produce appena un quarto rispetto all’Italia. Ma non è un problema”.

– Perché? Così i conti non torneranno mai…
“Perché il Governo cinese usa l’ulivo solo su terreni marginali dove non si può piantare altro. Lo considera un rimedio all’estrema povertà. L’idea, come succedeva da noi tanti anni fa, è dare a contadini poveri una piccola fonte di reddito e integrare la loro alimentazione. Ci hanno detto che grazie a questa iniziativa ci sono zone dove la povertà è scesa del 14%. Comunque questa strategia della Cina è positiva anche per l’export perché abituerà i cinesi più velocemente al consumo dell’olio e aprirà il mercato. Sostengo che vendere in un paese produttore è molto più facile che vendere in un paese che non produce”.

– Qual è il mercato più promettente?
“Per me sempre gli Stati Uniti. Dicono che è un mercato maturo ma bisogna guardare i dati. Consumano meno di un litro di olio a testa contro i 13-14 di Paesi come l’Italia e la Spagna. Noi dividiamo i consumatori in tre fasce: non consumatori, consumatori occasionali, grandi consumatori. Se i non consumatori scalano due livelli il gioco è fatto”.

– La Spagna quest’anno ha prodotto cinque volte più olio dell’Italia. Senza contare che da noi si dibatte su un’olivicoltura che fa sempre più fatica a portare reddito. Ci sono ampie zone dell’Italia dove gli uliveti vengono abbandonati.
“Su questo ho un’opinione personale. L’Italia ha una produzione diversa dal resto del mondo. Parliamo di piccoli produttori che puntano a una qualità altissima con un costo di produzione molto alto. La Spagna al contrario ha grandi produttori che producono a basso prezzo. Sono situazione opposte con un punto di forza per l’Italia: i costi di produzione sono alti ma anche i prezzi che i produttori riescono a spuntare sul mercato sono più alti. La reputazione di un Paese in questo è fondamentale. E quella dell’Italia vince sempre”.

 

Daniele Miccione

Immagine: Ennevi

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