Sulle tracce dell’Oro iberico

Dopo la cultivar ellenica, passiamo oggi ad un altro Paese del bacino del Mediterraneo strategico per la produzione olearia: la Spagna, che con il maggior numero di piante, si stima oltre i trecento milioni, è considerata il principale produttore ed esportatore al mondo.

L’alta qualità dell’olio extravergine d’oliva spagnolo è testimoniata dall’esistenza di ben 27 denominazioni di origine. La maggiore superficie adibita ad oliveto è la provincia di Jaén, dove troviamo la più importante delle varietà, la Picual, con la più vasta area di coltivazione dell’olivo ed una produzione annuale media, che varia a causa dei naturali cicli di raccolta, ma che normalmente si aggira tra 600,000 e 1,000,000 di tonnellate cubiche, delle quali il 20% viene esportato. Segue la Catalogna, che produce un olio con caratteristiche diverse, dove la varietà è rappresentata dalla Arbequina.

Numerose località legate all’ulivo, le troviamo anche a Cordova, sempre in Andalusia. La zona è regolata dalla denominazione d’Origine protetta “Priego de Córdoba” con circa 30mila ettari e si estende all’interno del Parco Naturale delle Sierras Subbéticas, con impianti di imbottigliamento aperti al pubblico. Celebre il pan tomaca (pane e pomodoro) della Catalogna, pietanza semplice della gastronomia catalana che acquista un sapore unico grazie all’olio vergine di oliva di queste terre, dove troviamo presenze di ulivo millenarie. La Catalogna è la seconda regione spagnola per le denominazioni di origine, che si dividono principalmente tra la Costa Brava, la Costa Dorada e Lleida. Per chi ama riportare un ricordo del viaggio con l’olio extravergine di oliva e sentirsi ad ogni pasto di nuovo in Spagna, ci sono altre zone, come la Castiglia – La Mancia che vantano quattro denominazioni di origine e sui monti di Toledo dove si estendono numerosi oliveti che è possibile visitare. Altre zone votate all’olio vergine d’oliva di prima qualità protetto da denominazione di origine sono: Aragona, Baleari, Estremadura, Navarra e La Rioja.

Da segnalare infine, l’innovativo progetto posto in essere da un gruppo di ricercatori, che è riuscito a convertire gli scarti della produzione in calore ed elettricità, grazie ad una tecnologia sviluppata dal “Biogas2pem-fc”, finanziato dall’UE per 1,1 milioni di euro, ed attivo dal 2014. La trasformazione in energia elettrica degli scarti insieme a quelli tossici ricchi di pesticidi e di acidi ad alto tasso di salinità, avviene direttamente nei frantoi ed in qualche struttura attrezzata per questa pratica. Il biogas prodotto dalla decomposizione in assenza di ossigeno dei materiali biodegradabili, viene trasformato in energia elettrica passando attraverso delle celle a combustione che sfruttano la concentrazione di idrogeno nel biogas. Con l’auspicio che in futuro una tecnologia simile possa essere appannaggio di tutti i produttori e non solo delle grandi aziende in grado di sostenerne i costi iniziali.

 

M.M.

 

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