Quello della provenienza delle olive è un tema particolarmente caro agli italiani: siamo convinti che il miglior extravergine d’oliva al mondo sia quello fatto con le nostre olive, perché ne abbiamo tante varietà, più degli altri Paesi, e siamo bravi a estrarne olio di pregio. Tutto vero. Capita però che in alcune annate il clima non premi particolarmente la produzione olearia del Belpaese, sottoponendolo a lunghi periodi di siccità o ad altri stress ambientali che compromettono la quantità e la qualità del raccolto.
In quelle stesse annate, non tutti i Paesi del Mediterraneo sono sottoposti alle stesse condizioni climatiche, per cui si avranno territori con campagne olearie premiate dalla natura e con una produzione d’olio migliore rispetto alla nostra. C’è da dire che ultimamente la crescita tecnologica in campo consente di irrigare, soprattutto in estate, e quindi di compensare l’assenza di piogge. Ma questa è una pratica non ancora ben distribuita nelle regioni italiane. Quindi cosa accade nelle annate di siccità? Si avranno oli buoni e oli cattivi, è così che succede in tutte le aree in cui si pratica l’olivicoltura.
L’area di grande produzione dell’olio extravergine d’oliva (e dell’olio d’oliva) è il bacino del Mediterraneo, che fornisce più del 95 per cento del totale prodotto nel mondo, il restante 5% comprende quei Paesi dell’emisfero sud come l’Australia e il Sud America in cui si è impostata un’olivicoltura moderna che utilizza tutte le tecnologie più innovative per ottenere il miglior risultato. Grazie a questo, anche quei Paesi oggi possono dire di fare oli extravergini di alta qualità. Sono appassionato dei miei territori e del mio Paese, perché conosco i valori che può esprimere nell’olio extravergine a livello regionale, però so per competenza e per curiosità che ci sono Paesi che pur non avendo una grande tradizione olearia, in anni particolari producono oli molto buoni raggiungendo standard elevatissimi.
L’olio è buono se è fatto bene
Quando si parla di olio non esiste una regione di provenienza migliore dell’altra. Esistono tecniche virtuose di gestione dell’oliveto, della raccolta, della trasformazione e della conservazione che permettono di ottenere un prodotto di qualità. Gli oli buoni, insomma, sono quelli fatti bene. E possono essere italiani ovviamente, ma anche di altre parti del mondo.
In Italia abbiamo degli ottimi oli e una grande scelta di varietà di olive, una biodiversità che ci permette di avere dei gusti più particolari. Ma nei premi internazionali ormai anche gli oli spagnoli vincono spessissimo. E poi ci sono extravergini superlativi dell’Argentina e del Cile, ma anche della Grecia, della Tunisia e del Marocco. In Italia sappiamo fare dei buoni oli, abbiamo un buon nome ma è importante che non ci adagiamo su questa certezza e continuiamo ad aggiornarci per ottenere il meglio.
La filiera è determinante se un produttore vuole fare qualità e vuole farla costante nel tempo. Negli ultimi anni l’Italia è stata soggetta a campagne insufficienti dal punto di vista della quantità di olio disponibile: ne ha prodotto circa un decimo del fabbisogno a livello mondiale e circa un quinto del consumo totale italiano. Anche quando un’annata è buona la disponibilità di olio italiano non supera il 45 per cento del fabbisogno totale (compreso l’export). Le grandi aziende olearie sono praticamente obbligate ad andare a cercare l’olio all’estero e per trovare l’eccellenza devono costruirsi una filiera di valore.
Anche quando un’annata è buona la disponibilità di olio italiano non supera il 45 per cento del fabbisogno totale, export compreso
Le aziende più grandi necessitano di una quantità di olio sufficiente a far fronte alla richiesta dei mercati su cui operano. Nel tempo si sono attrezzate visitando i Paesi produttori per capire cosa ogni anno si produce in quei territori. Dopo l’Italia è la Grecia molto vicina a noi come caratteristiche organolettiche, anche perché è dalla Grecia che arrivano gli olivi italiani, dopo essere partiti anticamente dalla Mesopotamia. Anche la Spagna è un Paese che oggi non si può non prendere in considerazione, perché copre il 60 per cento della produzione totale mondiale. All’interno di una produzione così importante, la Spagna offre una buona percentuale di olio di standard medio alto così come una grande percentuale di standard medio basso. La produzione spagnola comincia quando l’oliva è verde e finisce quando è nera, pertanto offre oli fragranti e ricchi di antiossidanti ma anche oli molti maturi, molto piatti, più acidi e più poveri di antiossidanti. Solo una filiera attenta e meticolosa permette di scegliere l’olio migliore.
Paola Magni
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